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Nei primi tempi a Bologna, in università soprattutto, ho incontrato persone nordiche (*) che sostenevano: “Ma voi non parlate, urlate”, riferendosi al fatto che i siciliani hanno un tono di voce abbastanza alto. Al ché da buona patriota ho prontamente rigettato quelle tesi, riconducendole a quell’insieme di stereotipi che danno ai nordici (e anche a quelli del sud) per rendere pensabili le rispettive categorie d’appartenenza.
Circa una decina di minuti fa sento dei ragazzi in strada, qui in Sicilia, che comunicano tra loro quasi gridando. Penserete che: “In fondo lo stereotipo tanto stereotipo non è”, no? Eh no, perché anche se sono sicula non sono riuscita a capire se stavano dialogando o litigando. Resterò col dilemma in eterno...
(*) inteso come gente del nord.
Ho trovato da sempre curioso e affascinate lo studio di tutto ciò che la convenzione sociale ha etichettato nei termini di superstizione, per intenderci gatti neri, astri, lettura dei tarocchi, etc.
Procedendo negli studi universitari ho incontrato che questi temi sono stati il cavallo di battaglia di molti esponenti dell'antropologia accademica (come Evans-Pritchard, se non sai chi è "MALISSIMO", ti sto togliendo la membership dal mio blog 😈).
Ora, prendiamo in considerazione la lettura dei tarocchi. La narrazione generale reprime e ridicolizza questa pratica, però si rintraccia un numero crescente di canali yt e tiktok profiles che si dedicano a produrre contenuti e questi hanno un largo seguito.
A questo punto, sarebbe interessante approfondire i seguenti aspetti:
🔮il/la "cartomante" crea un ipotetico scenario, parlando di "cose umane", donando informazioni; 🔮modella queste in base alle aspettative del ricevente; 🔮nel costruire gli scenari ipotetici (es. amore, successo, soldi), plasma l’emotività delle persone. Questa operazione è un po’ simile al ruolo che hanno le culture, nel creare identità e formare gli individui [mi riferisco al processo di antropopoiesi, la «costruzione dell’identità umana (Remotti)»]; 🔮all'interno di questo scenario la differenza la attua il singolo. In che misura? Ordina le informazioni ricevute collegandole al suo vissuto personale. Non c'è un interesse a cogliere la veridicità delle ipotesi proposte, bensì a trovarne una logica di riscontro, un’analogia con il suo vissuto personale; 🔮Infine, credo che, questa pratica debba essere inquadrata all’interno della continua ricerca di senso degli eventi quotidiani che “succedono” nelle singole esistenze: «gli esseri umani sentono il bisogno di trovare una causa a ciò che succede (Rumiati 2000)». Dato che i singoli non sempre riescono, da sole, a comprendere delegano ad altri la responsabilità di interpretare il corso degli eventi.
Bibliografia
Evans-Pritchard E., 1937, Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande
Rumiati R., 2000, Decidere
Ultimamente sto avendo un’ossessione per la produzione cinematografica del secolo scorso, in particolare quella dell’annata di fine anni ’50 e ’70. Non c’è ancora un genere che prediligo, ma so per certo che il mio interesse è catturato dal cinema d’autore.
Bene.
Di recente ho visto Noi donne siamo fatte così del 1971 di Dino Risi. La pellicola è organizzata in 12 episodi, nei quali vengono narrate storie di donne. Il film ha l’obiettivo di raccontare il mondo femminile, ma fallisce in quanto i dodici racconti sono pensati da autori e non da autrici. Non lo scrivo perché sono una ragazza, ma per il semplice fatto che vengono proposti ideali e situazioni della donna tipica. Appunto t i p i c a.
È un film che però non voglio demonizzare. Ha spunti interessanti sulla società italiana di quegli anni. Nello specifico mi ha suscitato interesse l'episodio di Alberta.
Alberta è una donna siciliana colta, di famiglia benestante e che viaggia per il mondo per approfondire i suoi studi sociologi e antropologici. In compagnia del marito Ferdinando organizza dei «seminari intellettuali». In un incontro si discute sull’amore libero, sul concubinato. Alberta e Ferdinando accolgono l’idea di un amore senza etichette, infatti è emblematica la posizione di lei : «il mio principio è il rifiuto dei principi».
Mi ha colpito poi un altro pensiero.
Alberta canzona simpaticamente il suo amico avvocato, poiché quest’ultimo critica l’amore libero: «siamo per il progresso tuttavia, siamo per la libertà tuttavia. Ravanelli siamo Avvocato. Rossi di fuori, bianchi di dentro». Le sue parole sono un chiaro rimando all’ipocrisia borghese, che fingeva spregiudicatezza, ma in fondo era conformista.
Guardando al presente, penso che questa frase sia ancora di estrema attualità. Nel mio contesto culturale infatti noto che si è un tuttuno con il progresso e con gli ideali riformisti ma che poi non si materializzano. Forse perché é ancora latente l’influenza religiosa e degli ideali conservatori, che si pensano in un passato lontano. Certo siamo nel 2021, nella società della spregiudicatezza e dell’apertura, nonostante ció c’è ancora qualcosa che si ingrippa... mi chiedo dove stia il mal funzionamento e se lo si dovesse trovare come approcciarsi?
| Madonne e serendipità antropologiche |
INCIPIT:
L'esaltazione delle virtù della distanza che l'esteriorità procura ha senza dubbio la funzione di trasformare in una scelta epistemologica la situazione oggettiva dell'etnologo che fa sì che egli percepisca ogni realtà e ogni pratica, inclusa la propria, come uno spettacolo.
~ Pierre Bourdieu
È un pomeriggio di fine marzo e cammino per le vie del paese di provincia. In strada non c’è nessuno, eccetto il rumore di macchine e di voci lontane… saranno le signore che si aggiornano sulle famiglie, raccontandosi le novità, cosa comune in paese. La mia attenzione viene catturata dagli idoli, dai santi e dalle “madonne chiuse in una teca”, come canta Levante, che si trovano incastonati nei muri. Mi fermo così ad osservare la religiosità che sopravvive in queste zone. È un sentimento religioso che si esprime, essenzialmente, nella materialità delle immagini oramai usurate dal tempo.
Ed ecco che un abitante del luogo si ferma e inizia ad osservarmi con una curiosità indagatrice... se fossi stata un artefatto primitivo, visionato da un trafficante d’arte occidentale di fine Ottocento, sarei passata inosservata. Inizio a insospettirmi, ma dopo un po’ esordisce: “Ma chi c’avi?” (“Cos’ha?”), riferendosi alla teca che sto fotografando. E si mette insieme a me a contemplarla, affermando: “Non ci fici mai casu” (“Non mi ero mai accorto”). Tiro un sospiro di sollievo, e mi ricordo che abito in Sicilia, dove l’incuriosirsi per le attività altrui è un tratto culturale dominante. Gli spiego che mi ha colpito la rappresentazione e mi congedo.
Sulla via del ritorno, inizio a riflettere sull’episodio. É evidente che la mia presenza ha comportato una “crisi” nel suo abituale schema di percezione degli spazi, sul ruolo giocato dalla vista. Ad esempio, David Le Breton in Il sapore del mondo. Un’antropologia dei sensi, al paragrafo La vista è anche apprendimento spiega che:
«alla nascita, il bambino non coglie il significato delle forme indecise, colorate e cangianti, che gli si affollano intorno; poi impara a poco a poco a discriminarle, cominciando dal volto della madre e integrando schemi di percezioni particolari che successivamente generalizza. Per riconoscere, deve conoscere […] La vista prende poco per volta lo slancio, per divenire un elemento fondamentale della sua educazione e del suo rapporto con gli altri e con il mondo (2006, 59, 63)».
La realtà è pertanto una «costruzione sociale», edificata da «un’attività che esprime significativi soggettivi (Berger, Luckmann 1966)», dove «gli occhi non sono semplici recettori rispetto alla luce e alle cose del mondo, ne sono i creatori, nella misura in cui vedere non è il calco di qualcosa di esterno ma la proiezione fuori di sé di una visione del mondo (Le Breton 2003, 68)».
E da quella domanda così sfacciata, comprendo quanto l’atto del guardare, che sembra naturale e spontaneo, é in realtà un’operazione guidata e mediata dalla cultura, nella quale si esperisce e percepisce il mondo attraverso modelli trasmessi localmente (Gusman 2013, 30). A questo punto mi chiedo da dove nasce l’esigenza di vedere il mondo attraverso una sua concentualizzazione declinata in termini di naturalità?
Bibliografia
Berger P. L., Luckmann T., 1966, The Social Construction of Reality.
Bourdieu P., 2003, Per una teoria della pratica con Tre studi di etnologia cabila.
Gusman A., 2013, Sensazioni.
Le Breton D., 2013, Il sapore del mondo. Un'antropologia dei sensi.
Mh, stamani dubbi arcaici: peculiarità innate o processi autoindotti?
| Le strade catanesi |
Sono ferma ad osservare, con anomalo interesse, “la crepa”(scusate, ma il mio vocabolario è sprovvisto di certi tecnicismi) nella strada, conosciuta dai miei concittadini come l’opera di “cattiva amministrazione”... sono in Sicilia, nel regno dell’immobilitismo, ma vi risparmio la filippica, vetusta quanto il complesso Stonehengiano…
Questa "crepa" mi permette di collegarmi al contenuto di una lezione di Geografia in Università, sul ruolo dell’essere umano nel modificare il paesaggio... realizzando che anche la natura procede in questa direzione, intervenendo nella trasformazione degli spazi. Anche se aldilà della bellezza visiva: mi chiedo cosa vuole comunicare questa ri-appropriazione?
Gente che usa termini del gerco antropologico in maniera decisamente poco consona >
Nessuno
Proprio nessuno
Io:
apriti un manuale, fratellí.
...solo io "sclero" a vuoto?
Detesto, disprezzo: mi viene la nausea. Provo, sempre, un forte estraniamento e disgusto verso il mio contesto culturale e sociale. Mi disgustano gli stimoli, le rappresentazioni culturali, gli immaginari, il modo in cui plasmano la realtà immaginaria e reale. Vivo con l’illusione di perseguire una via di fuga inedita, ma in realtà è sempre la stessa: tutto cambia per non cambiare niente. Il mio non è né uno sfogo da adolescente nevrotica (né its Madame Bovary), né perché sono su tamblah e va di moda la flagellazione della mia esistenza. E’, invece, la constatazione bruta, che questo mio mondo culturale mi tiene constante-mente impigliata, in una costruzione personale e identitaria che detesto. Forse l’unica pace reale sta nel niente niente niente.
essere una studentessa di antropologia is like ogni treperdue imparare un nuovo linguaggio di settore. Ieri psicologia, l’altro ieri economia, oggi mi tocca studiare termini di ambito giuridico. Non ci sto capendo un cavolo della differenza tra leggi, decreti leggi, comma. E poi certi rimarcano: “eh vabbé che ci vuole a studiare le materie umanistiche”.
Mi chiedo se sono le risposte a disporsi lungo le traiettorie oppure se sia l'essere umano a ricavarle forza-(ta)mente...
Fig.1 - Casual Polar Bear Looking Through a Window || Fig. 2 Archillect