«Il mondo non è un'unica fratellanza sentimentale in cui, sotto la superficie, in realtà siamo tutti uguali. Gli individui hanno prospettive diverse, formate da interessi, storie, esperienze particolari. Se questo è vero degli individui, sarebbe strano se qualcosa del genere non valesse anche per le nazioni».
Ian Buruma
¿Qué pasa? // Contamin(a)zioni
Ore 08:16. Via indipendenza. Bologna. Mi vedo passare un rider (presubilmente Asia meridionale) è spiccicato Lucio Dalla nella copertina dell'album del '79.
Ore 8:25. Via Irnerio. Sempre Bologna. Sto aspettando il bus e accanto a me c'è un ragazzo, sulla 30ina, azzardo Africa del Nord, è identico ad Antonello Venditti in Le cose della vita '75.
In questo scenario mi chiedo cosa é una differenza culturale? Non è che questa esiste, ancor prima nell'effettivo, a livello astratto? Ha ancora senso parlare di mondi e culture diverse nell'era del contagio culturale agile?
Starò sognando? Mi pizzico il braccio. No.
| il dolce blaterale, b-l-a-t-e-r-a-r-e |
Da un paio di anni frequento da spettatrice la beauty community italiana dedicata alla cosmesi. All’interno di questo contesto noto che le varie beauty-influencers realizzano linee o prodotti di bellezza che portano il loro nome, una pratica piuttosto antica. Da tempi remoti l'uomo vende prodotti nei quali iscrive discorsi di rappresentazione dell'identità (penso, ad esempio, alla vendita di rosari, acque sante, frammenti di relique, etc,.)
Oggi si assiste ad un discorso nel quale viene commercializzata la propria identità che si trasforma in un'icona da brandizzare. Come nel caso di una beauty influencer, che seguo con piacere, che ha realizzato la sua linea di prodotti di bellezza (lo so, l'uso di «beauty» sarebbe stato più intrigante, ma in italiano suona più evocativo). Nel presentare il suo marchio scrive:
Ho oscurato il nome perché vorrei che la sua persona passasse in secondo piano. È più funzionale analizzare come sta commercializzando il suo prodotto, per indurre il membro della sua community all'acquisto della palette.
In questa descrizione si attenzionano un paio di elementi. Il primo è il voler sottolineare lo sforzo personale e gli anni di intenso lavoro. La nostra società, infatti, imposta il rapporto tra lavoro e uomo in forme quali la fatica, lo struggimento al fine di raggiungere gli obiettivi sperati. Poi, viene inserito il tema delle abilità acquisite, in modo da certificare che sia una persona competente e che il «suo» prodotto sia affidabile.
Nella seconda parte di questa presentazione emerge una criticità, un punto su cui vorrei riflettere. La guru di bellezza «sente il bisogno» di realizzare qualcosa «di uso», utilizzando quelle che «secondo lei sono le migliori blabla», per creare dei prodotti «ascoltando soprattutto la propria community».
Il consumatore è messo nelle condizioni di empatizzare con quel venditore e con i suoi sacrifici ed inoltre sta comprando un prodotto realizzato e negoziato attraverso la partecipazione dei membri della community. Anche se, però, non ci è dato sapere che tipo di ascolto venga adoperato per la realizzazione di questi prodotti. É qui che noto l'ambiguità. Se vuole creare qualcosa di suo, utilizzando le migliori texture da lei scovate, come riesce a creare prodotti insieme ai suoi seguaci? Questo ascolto, forse, verrà perseguito in futuro?
Nella commercializzazione, la beauty-lady mischia istanze personali e collettive: «per me» o «soprattutto per voi». Per un richiamo all’emotività del consumatore, dato che egli appartiene alla sua «community».
Da studentessa di antropologia trovo che questa narrazione sia accattivante e ricca di spunti interessanti per capire come i soggetti imprenditoriali impostino strategie per conquistarsi la fiducia del loro pubblico.
Voi cosa ne pensate? Su cosa sta insistendo questa imprenditrice per presentare il suo prodotto? Cosa ci leggete?
Osservazioni dissacranti
Ad una vecchia lezione di antropologia del patrimonio una mia prof. esordì: "Vabbè ma tanto è tutta una ricostruzione. Nessuno studioso è veramente originale".
Lì per lì quella frase non ebbe chissà quale presa, oggi invece capisco il senso di quelle parole.
Se fino ad un certo punto sono stata toccata da quella fallacia che un po' chi studia antropologia conosce: sentirsi di appartenere ad una cerchia di studiosi che stanno portando chissà quali teorie e chissà quali sguardi innovativi.
Poi però capisci che in realtà sei semplicemente il prodotto di un sistema di pensiero, di un marketing personalizzato, di un aggregamento di cerchie e "cose" suggerite. In tutto questo puoi comunque trovare due consolazioni:
1. aveva ragione Margareth Mead quando sosteneva "Always remember that you are absolutely unique. Just like everyone else"
2. ciò che farà la differenza sarà il mondo in cui le esistenze incamerano, utilizzano e si servono degli strumenti concettuali e delle risorse che gli offre il loro contesto culturale.
Lettore anonimo SB buonasera,
Ho ragionato sulle questioni che mi hai sottoposto.
1. argomento tesi: sicuramente le immagini avevano un potere e veicolavano un linguaggio. I frati francescani le usavano perché si erano resi conto che queste avevano del potenziale ai fini dell'evangelizzazione. Anche perché lo scoglio principale nel rendere gli indigeni dei bravi e ubbidienti cattolici era proprio di tipo linguistico. Si pensava così che le immagini potessero accorciare i tempi. Infatti, le immagini sacre erano dei dispostivi per rendere concreti e tangibili i concetti astratti della religione cattolica. Certamente è stata una violenza nei confronti degli indigeni, pensa a questo scenario: viene uno dal nulla e sbum ti dice che devi convertirti, brucia e distrugge i tuoi idoli, quello in cui credi, le tue statue, i feticci, per imporre qualcosa che tu non hai i mezzi concettuali per capire. Non perché sei poco intelligente, ma perché è qualcosa di estraneo al tuo contesto culturale e religioso. Tra l'altro questi frati hanno pure distrutto un sacco di manoscritti sacri, artistici. AAAAA. Io non ci voglio nemmeno pensare, mi sento un'angoscia dentro solo a pensarci. C'è comunque una parte tra questi indigeni che cercò di "reagire". Alcuni tra loro entrarono nelle grazie dei missionari francescani, lavorando nelle scuole come artisti e pittori per realizzare i dipinti sacri. I casi però erano davvero pochi. Anche perché c'era molto sfruttamento e razzismo da parte degli spagnoli e dei frati.
2. La questione che mi poni sulla tecnologia mh, guarda io ti consiglierei di leggere Etnografia in Bottiglia di Roberta Bonetti. È un bellissimo libro che racconta come l'antropologo entra nei contesti scolastici. In particolare una tematica che emerge è proprio quella della tecnologia. Sicuramente i cellulari, i pc, i tablet hanno un impatto nella nostra vita. Ma dobbiamo sempre criticarli? L'antropologa, facendo ricerca tra i ragazzi e gli adolescenti, più che demonizzare questi apparecchi ci invita inanzitutto a vedere come vedono e vivono la tecnologia gli adolescenti, per spronare ad un uso più consapevole. Quale saranno i disagi degli adulti di domani mh chiedo a te: come mai pensi questo? Perché la declini al negativo?
Non so se ti possa bastare o che trovi le mie risposte esaustive.
14/07/21 20:05
Buonasera appuntidicampo! Qui il tuo lettore anonimo SB.
Mi sono preso un po' di tempo per leggere la tua risposta con calma per poterti rispondere con attenzione in modo da potermi esporre al meglio la mia idea.
La tua tesi di laurea triennale mi sembra molto interessante e dall'esempio che hai apportato devo dire che non sono rimasto particolarmente meravigliato dal fatto che da parte di alcuni esponenti religiosi cristiani, pur di arrivare all'indottrinamento religioso, abbiano addottato dei mezzi così futili come delle immagini, d'altronde è risaputo che ci sono stati metodi molto più brutali e violenti pur di arrivare allo scopo, ma questo penso sia un altro discorso di cui potremmo parlarne per giorni. Volevo però sapere di più a riguardo all'esempio che mi hai citato. Come hanno accolto inizialmente gli indigeni le informazioni che gli venivano passate? Hanno accolto di loro spontanea volontà la fede Cristiana?
Il mio punto di vista comunque sul rapporto tra occidentali e il resto del globo rimane quello che ti ho citato nel "ask" precedente, che rimane comunque abbastanza concorde con il tuo. Gli occidentali hanno avuto in passato la tendenza di prevalere e schiacciare le altre culture e temo che sia tutt'ora così, anche se probabilmente il tutto viene camuffato un pochino di più. La cosa mi fa pensare a un'altra caratteristica dell'essere umano. Essere più sviluppati a livello tecnologico lo fa sentire superiore agli altri, anche se, a mio umilissimo parere da persona totalmente ignorante in materia, ho l'impressione che ci renda meno autosufficienti... Eccolo un altro argomento che mi piacerebbe approfondire e sapere cosa ne pensi tu e cosa dicono i tuoi studi sull'antropologia: spesso osservo la mia sorellina, ci passiamo 13anni, attualmente ora lei ne ha 10. Ho l'impressione che la tecnologia le stia offuscando parecchio la mente sulla percezione della realtà, ma ho notato osservando gli altri bambini suoi coetanei che purtroppo è un problema molto frequente. Mi chiedevo, quali saranno i disagi culturali e sociali degli adulti di domani? In antropologia sono stati fatti degli studi in merito, delle previsioni? Spero sia chiara la domanda e di aver sollevato un quesito che sia inerente alla tua materia di studi.
In conclusione, volevo chiederti se ti trovi bene a scambiarci opinioni tramite degli ask anonimi. Se preferisci ti posso contattare in privato e continuiamo i nostri confronti lì. Per favore però non dirmi "vedi te per me è uguale" e lasciare a me la scelta, il blog è il tuo ed ho il timore che i miei ask possano contaminare secondo la tua percezione lo stile del tuo blog.. grazie per la tua attenzione e buona serata!
Lettore anonimo SB
Ciao Lettore anonimo SB,
E' sempre un piacere leggerti e che trovi tempo per articolare al meglio i tuoi pensieri. Tranquillo, non contamini, i tuoi contributi "abbeliscono" e arricchiscono il mio blog, stimolando alla riflessione.
Con la tua risposta, sollevi molteplici questioni che richiedono tempo e studi, adesso non ho risposte. Spero che comprenderai: ti aggiornerò nei giorni successivi o sennò sentiti libero di contattarmi in privato, per una risposta più immediata e fluida. Anche se, ritengo che sia produttivo e interessante creare dibattiti pubblici, per coinvolgere un bacino più ampio di gente, come è stato nel post sulla vittoria italiana del campionato europeo.
Ag aggiornar(c)i.
[da uno sguardo ampio e generale...
Quando per impostare la tua ricerca quantitativa, devi intercettare gli imprenditori del domani e ti chiedi: "Se fossi un imprenditore che percorso di studio farei?". Giusta-mente per creare quel valore lì, devi solidamente formarti. "In confronto a te, il candido di Voltaire è Arsenio Lupin" concluderai amara-mente.
Ma... Ma? Da un primo lavoro di mappatura, i senior rich-boys, nella maggiorparte dei casi non dispongono di un titolo di studio. E inizi a sclerare. "Dove siete!" urli mental-mente, perchè sai che la telepatia funziona sempre.
Anche se... Anche se!? Anche se, vorresti aprire una ricerca in parallelo, per capire "ti pareva" il motivo della mancata erudizione degli impresari.
... si dettaglierà in seguito]
|| Ricorda che la dominazione/estraniazione dall'evento risiede nella sua ripetizione simbolica.
| GG/MM/AA |
chissà mai che in futuro non si riescano a decodificare immediatamente anche i nostri pensieri?
coraggio & lumini
Oggi ho fatto il vaccino anti-Covid ed è stato un momento «interessante» per i miei svalvo(la)-menti.
Le parti più curiose sono state 1) la compilazione dell’anamnesi e 2) l'incontro con il dottore.
Questo perché ho ripensato:
1) al corso di Metodologia della ricerca etnografica, la prima regola che mi è stata insegnata è: “quando si fanno le domande non siate tendenziosi ed evitate TASSATIVAMENTE le domande si/no” => L’anamnesi in questione è tipo un foglio excel, nel quale devi rispondere a domande ”si/no”;
2) alle lezioni di antropologia medica; quando il prof. insisteva sulla natura asimmetrica del rapporto medico-paziente. Infatti, l'incontro con il mio medico è stato esilarante. Mentre lo inondavo di domande segnate sul mio post-it, notavo come lo legittimassi a depositario di alcune conoscenze...
Non voglio star qui a polemizzare, né a rimpiangere che questa scheda anamnestica non sia stata supervisionata da un team di antropologi… Ma riflettevo sul ruolo del paziente in questa campagna vaccinale.
La mia identità, il mio punto di vista è stato essenzialmente nullo. Mi chiedo dove lo Stato ha creato opportunità per illuminare e dirigere la mia coscienza al di là del raggiungimento dell’immunità di gregge.
Non so come la vedi tu che leggi, sarei curiosa di capirlo... per quanto mi riguarda non sono proprio riuscita ad andare al di là del “lo sto facendo per riavere la mia libertà e la mia quotidianità”. Se ci penso sono una personcina schifosamente individualista. Lo Stato, che ha pensato questa campagna vaccinale, perché non è riuscito a fornirmi i “giusti mezzi” per farmi vivere questo momento al di là degli obblighi, delle insicurezze, degli "egoismi"? Per aiutarmi a stimolare uno spirito di comunità e un senso di appartenenza?
|| Note a margine
Quando stai rielaborando concetti e parole di terzi per cercare di costruire una coerenza narrativa e logica, pensi: "Ma che fatica!". Oppure passi ogni tre secondi a chiederti: "Ma sto interpretando correttamente le parole di questa persona? Sto riuscendo a capire e a rendere ciò che mi sta dicendo?".
Vorrei ritornare adesso a tradurre quei minidialoghi basic del liceo, quelli che si trovano nei libri per apprendere le lingue straniere.
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Penso che cogliere il punto di vista di una persona che parla la mia stessa lingua, a volte, non ne determina l'effettiva comprensione, perché entrano in gioco le diverse sfumature di significato, le intenzioni, gli elementi paraverbali, le espressioni non verbali e su questi non sono stati ancora ideati vocabolari e dizionari.