...che poi per cavarsela basta semplicemente non esserci.
|| 7 dicembre
Stavo pensando agli intellettuali di sinistra (che tanto sottolineo) o ai rappresentati di tale ideologia che partono dal presupposto che ciò che stanno facendo é virtuoso e moralmente valido perché "é di sinistra". Come si è arrivati ad accettare che quello che fanno e pensano é socialmente e culturalmente valido? Questo non é un attacco, quanto più una riflessione ad alta voce sull'impostazione delle categorie culturali e politiche del mio contesto sociale.
Mi chiedo, se questi netti posiziona-menti mi stanno facendo tralasciare possibilità, sperimentazioni o percorsi interpretativi.
Se si chiedesse di spiegarne il perché sinceramente, ricevereste in cambio un niente
14.29 || 10 luglio
esperi-menti senza vivisezioni
prima di trovare risposte e t n o c e n t r i c h e e che rischierebbero di mandare alla malora i 5 anni di antropologia, mi chiedo: come mai le persone scelgono di seguire la via della non-azione, preferendo stanziarsi nel lamento continuo? Oppure si dovrebbe ri-pensare, radical-mente, la definizione di azione?
|| scassa-menti serali ||
Quale sé personale e unico si può sviluppare all'interno di un contesto in cui ognuno va uniformandosi alle tendenze esistenti?
Tutto è un cliché, i pensieri, le posture, i modi di fare, la musica, i film, le estetiche, le parole, le situazioni, i conflitti interiori ed esteriori, questa frase... è un continuo ritornare a ruoli giá assunti, ascoltati e consumati. Per realizzare, infine, che questa condizione viene amplificata dall'auto-rappresentazione perenne.
| Disordine funzionale |
In preda ad un attacco di nostalgia riprendo in mano un vecchio manuale di Antropologia culturale, nel quale Ugo Fabietti scrive:
« [l’antropologia] studia [..] le idee e i comportamenti che sono caratteristici degli esseri umani che vivono in società fra loro lontane nello spazio e diverse per tradizioni, costumi e stili di vita»
Da qui hanno origine i miei svalvo(la-menti).
Dal punto di vista teorico, l’antropologia considera gli atti umani come un’espressione culturale. Lo scambio mondo-soggetto è disciplinato a livello locale: l’essere umano è un artificio culturale. Questa interpretazione è peró incompleta perché non si riconosce al singolo soggetto un’agentività, dato che è essenzialmente in balia del proprio contesto culturale. Alcuni antropologi contemporanei (es. Thomas J. Csordas), danno all'essere umano un ruolo attivo. Lo scambio mondo-soggetto non è vissuto passivamente, in quanto le singole esistenze vivono il mondo attraverso il loro corpo.
Allo stato attuale delle cose, però, rimane ancora da riflettere significativamente sui concetti di “autenticità” e “spontaneità” che caratterizzano la realtà quotidiana. Se ogni cosa esistente è una rielaborazione intenzionale: che cosa sta alla base del concetto di naturalezza? O invece si dovrebbero ri-pensare radicalmente questi concetti?
Da studiosa di antropologia e da essere umano non posso che vivere un profondo senso di disagio esistenziale, ma d'altronde - da bimba di 🧡Geertz 🧡- penso alla mission dell’antropologo:
«Con non poco successo abbiamo cercato di scuotere il mondo, tirando da sotto i piedi i tappeti, rovesciando tavolini da té, facendo esplodere petardi. Compito di altri è stato di rassicurare, il nostro quello di destabilizzare. Fra australopitechi, bricconi, consonanti avulsive, megaliti noi siamo insomma venditori ambulanti di anomalie, spacciatori di stranezze, mercanti di stupore».
Bibliografia
Csordas T. J. C., 2003, Incorporazione e fenomenologia. culturale
Fabietti U., Antropologia.
17:10 || continua il refresh
Nei primi tempi a Bologna, in università soprattutto, ho incontrato persone nordiche (*) che sostenevano: “Ma voi non parlate, urlate”, riferendosi al fatto che i siciliani hanno un tono di voce abbastanza alto. Al ché da buona patriota ho prontamente rigettato quelle tesi, riconducendole a quell’insieme di stereotipi che danno ai nordici (e anche a quelli del sud) per rendere pensabili le rispettive categorie d’appartenenza.
Circa una decina di minuti fa sento dei ragazzi in strada, qui in Sicilia, che comunicano tra loro quasi gridando. Penserete che: “In fondo lo stereotipo tanto stereotipo non è”, no? Eh no, perché anche se sono sicula non sono riuscita a capire se stavano dialogando o litigando. Resterò col dilemma in eterno...
(*) inteso come gente del nord.
1 agosto 2021 || Savonarola & predica-menti
Sto leggendo Tristi tropici di Claude Lévi-Strauss, testo pilastro del pensiero antropologico. Avrei dovuto leggerlo in triennale, ma ho sempre rimandato. Mi era stato riferito che il pensiero dell’autore era troppo complicato e spigoloso. In effetti quando diedi antropologia culturale, non mi piacque molto studiare lo strutturalismo, corrente a cui appartiene l’antropologo.
Comunque, prendo il testo e rimango colpita dal suo modo di scrivere: raffinato, elegante e saturo di parole. Devo ancora finirlo, ciononostante Lévi-Strauss mi sta dando da riflettere.
Perché non incontro intellettuali e studiosi che osservano e interpretano la contemporaneità in maniera così perspicace? A me non interessa che la mia vicina di casa si interroghi, ad esempio, sulla ripercussione sociale dell’esistenza di centri commerciali nella manciata di pochi kilometri, per Dio (!) Ma quando arriverà qualcuno che parlerà di ciò che conta, anziché crogiolarsi nella fatuità cronica?
Se conosci qualcuno (magari così cool come Lévi-Strauss da giovane, vedi sotto) fammi sapere.
When continui a trascrivere e decidi di specificare “morosa”.
Lo so. Sarà uno scritto ad uso e consumo del Nord, per alcuni sarà inutile questa precisazione, ma OH:
1. sono sicula;
2. voglio provare l’ebbrezza dell’antropologo che annota tutto, come facevano quegli etnologi di fine ‘800 che, entrando in contatto con i popoli extra-occidentali, scrivevano monografie zeppe di note.
(ps: se qualcun* del Nord si sente di aggiungere altro, magari sull’etimologia, è ben accett*!)
Mi chiedo se sono le risposte a disporsi lungo le traiettorie oppure se sia l'essere umano a ricavarle forza-(ta)mente...
Fig.1 - Casual Polar Bear Looking Through a Window || Fig. 2 Archillect