Non lasciare.
Non racchiudere.
Non permettere
a ciò che le circostanze ti mostrarono essere la porcellanza bavosa e meschina di rivelarti il presente e il futuro.
| Patine e saponi |
Se c’è una cosa che ho imparato frequentando questa esistenza: è la capacità posseduta dall'essere umano nel trovare i difetti e le storture altrui per sentirsi migliore. Ho realizzato questo nel momento in cui ho osservato sotto una luce diversa le pagine Instagram che si occupano di “svelare” le falle nella rappresentazione estetica di instagram-models, beauty-stars e influencers.
Da sempre le culture sono interessate a forgiare i corpi in determinate forme ed estetiche. Ad esempio, Francesco Remotti in Cultura sul corpo analizza in maniera dettagliata le pratiche di cura e controllo sui corpi, dato che
«l’essere umano può / deve essere plasmato; […] essendo [...] una sostanza malleabile, simile a “cera”, esso richiede un intervento che gli dia “forma” e “figura” […] l’intervento plasmatore, reso necessario dalla mancanza di forma originaria, è in quanto tale di tipo estetico: ha a che fare immediatamente con la “bellezza” (2015, 5)».
Queste pagine sono solite accostare il termine ‘bellezza’ a quello di 'falso'. Reinventano l’acqua calda in buona sostanza, ma il punto non è questo. Ciò che mi incuriosisce è la loro organizzazione, 'mission’ e leitmotiv.
Il meccanismo di funzionamento consiste nel mostrare il prima/dopo, la fotopostata/realtà, il ieri/oggi di un soggetto (nella maggior parte dei casi si tratta di donne) per far realizzare che tutto è un artefatto, creato dagli interventi chirurgici, dai giochi di luci, dalle angolazioni e da Photoshop.
(immagini a scopo illustrativo)
La comunicazione adottata da queste pagine è d’impatto, in quanto si affidano ad un silenzioso gioco di potere insito nella riproduzione dell'immagine dell'altro. Dal punto di vista teorico e antropologico, un’immagine non è «soltanto un prodotto di un determinato mezzo», è anche un «prodotto del nostro io, nel quale generiamo immagini personali (sogni, immaginazione e percezioni) che interagiscono con le altre immagini del mondo visibile (Belting 2001, 10)» ed inoltre le immagini dipendono da due «atti simbolici»: «l’atto della fabbricazione e l’atto della percezione (Belting 2001, 11)». Da queste basi, lo spettatore viene, inconsapevolmente, guidato a osservare e sentire l'altro attraverso le sue finzioni, i suoi "difetti" e le sue "deformazioni ", che vengono evidenziate e cerchiate. Ciò comporta una demonizzazione dell'immagine dell'altro, come mostrano i commenti lasciati sotto ai post.
Qualcuno potrebbe risentirsi dalle mie posizioni sostenendo che queste pagine hanno un potere “salvifico”, in quanto ci ricordano che la perfezione non appartiene a noi umani; che la realtà è un’altra oppure che non vogliono screditare quel soggetto rappresentato. Certo è nobile questa operazione di smascheramento e di messa in critica degli idealtipi estetici propinati dal mio contesto culturale, ma a questo punto mi chiedo: 1) come mai il discorso di accettazione personale deve passare attraverso la deturpazione dell’immagine altrui?; 2) perchè non pensare di creare attività volte alla conoscenza delle ragioni e delle motivazioni che spingono i soggetti a ricorrere a quella presentazione?
Bibliografia
Belting H., 2001, Antropologia delle immagini
Eco U., 2004, Storia della bellezza
Remotti F., 2015, Cultura sul corpo
| Disordine funzionale |
In preda ad un attacco di nostalgia riprendo in mano un vecchio manuale di Antropologia culturale, nel quale Ugo Fabietti scrive:
« [l’antropologia] studia [..] le idee e i comportamenti che sono caratteristici degli esseri umani che vivono in società fra loro lontane nello spazio e diverse per tradizioni, costumi e stili di vita»
Da qui hanno origine i miei svalvo(la-menti).
Dal punto di vista teorico, l’antropologia considera gli atti umani come un’espressione culturale. Lo scambio mondo-soggetto è disciplinato a livello locale: l’essere umano è un artificio culturale. Questa interpretazione è peró incompleta perché non si riconosce al singolo soggetto un’agentività, dato che è essenzialmente in balia del proprio contesto culturale. Alcuni antropologi contemporanei (es. Thomas J. Csordas), danno all'essere umano un ruolo attivo. Lo scambio mondo-soggetto non è vissuto passivamente, in quanto le singole esistenze vivono il mondo attraverso il loro corpo.
Allo stato attuale delle cose, però, rimane ancora da riflettere significativamente sui concetti di “autenticità” e “spontaneità” che caratterizzano la realtà quotidiana. Se ogni cosa esistente è una rielaborazione intenzionale: che cosa sta alla base del concetto di naturalezza? O invece si dovrebbero ri-pensare radicalmente questi concetti?
Da studiosa di antropologia e da essere umano non posso che vivere un profondo senso di disagio esistenziale, ma d'altronde - da bimba di 🧡Geertz 🧡- penso alla mission dell’antropologo:
«Con non poco successo abbiamo cercato di scuotere il mondo, tirando da sotto i piedi i tappeti, rovesciando tavolini da té, facendo esplodere petardi. Compito di altri è stato di rassicurare, il nostro quello di destabilizzare. Fra australopitechi, bricconi, consonanti avulsive, megaliti noi siamo insomma venditori ambulanti di anomalie, spacciatori di stranezze, mercanti di stupore».
Bibliografia
Csordas T. J. C., 2003, Incorporazione e fenomenologia. culturale
Fabietti U., Antropologia.
riflessioni & memorandum
Bazzicando tra i blog, presenti su tumblr, sto realizzando che questo social ha del potenziale, per comprendere l’epoca contemporanea.
Le retoriche generali descrivono la nostra società composta da individui immersi in un flusso di superficialità e vacuità, che “stanno sempre a presso a quei social”. Secondo me, però, ci sono spazi in cui si costruiscono e si definiscono nuovi modi di fare umanità, come qui su tumblr. É un “luogo” prolifico per sperimentare ed entrare in contatto con una nuova umanità, diversa da come la descrivono i media.
Entrando in contatto con i contenuti condivisi e postati dalle persone, come ad esempio i pensieri, le suggestioni, i progetti, i ricordi, gli stralci di vita: si delinea una rappresentazione umana che sfida la logica comune. Se instagram è una vetrina di immagini, tumblr è quella delle “istantanee interiori”. Si accede ad un nuovo modo di rappresentare l’esistenza umana.
Tutto ciò mi fa riflettere e trovo delle affinità con la pratica antropologica.
Mi spiego meglio.
Quando l'antropologo intervista, entra in contatto con una realtà intima e personale. Inizia a chiedere al “partner intellettuale” una miriade di cose: come mai questo, come mai quell’altro. Insomma è un rompiscatole. Questo non per perversioni o sinistre attitudini, ma per la seguente motivazione: nel dialogo e nell’incontro con l’altro si comprende e si sviscera una tematica a partire dal punto di vista degli attori sociali; quello dell’esperienza. Di conseguenza, nel caso tumblr, nell’approcciarmi ai blog di queste persone; attraverso l'interrogazione dei loro contenuti si scardina quell’assunto con cui ho aperto questo post: la frivolezza della nostra epoca.
Arrivo così alla seguente conclusione: questa epoca non è superficiale, semplicemente è troppo frenetica e non trova i tempi e le pazienze per gli ascolti in profondità…
ps: se stai leggendo e hai un blog su tumblr, giuro che non ti ho usato per i miei svalvo(la)-menti antropologici.
Se il pensiero fosse materia
Nell’universo mentale ricorre periodica-mente un pensiero, principalmente quando la realtà intorno è silente. Questo vaga a briglie sciolte e richiama all’attenzione.
Un momento dopo, però, si comprende che, forse, sarebbe stato opportuno trascurarlo. Questo inizia a farsi pesante, pressante e finisce per egemonizzare l’intero spazio.
In un successivo momento si realizza che questo non dispone del controllo. La responsabilità dipende esclusiva-mente da chi quell’universo mentale lo possiede. Il soggetto infatti comprende che è lui ad aver deciso di prendere parte al gioco. È lui a controllare, nutrire e disciplinare la torbida macchinazione che si materializza e si snoda attraverso le parole, le immagini, i suoni e i colori. Si tratta però di un gioco di co-dipendenza: sussiste lui affinché sussista il pensiero.
E nel momento finale, il soggetto appura che si sta semplice-mente servendo di quel pensiero, per affermare le manie da narciso ferito. Quel pensiero gli serve a renderlo umano e a raccontare al vento le sue lagnanze. Sa, nel fondo del suo animo, che la realtà è fin troppo quiete… ma lui necessita di una valida ragione per vivere, finendo per attaccarsi a quei pensieri umanizzanti.
Intellettuale engagé: «in Italia il termine è stato usato soprattutto con riferimento a letterati e artisti, o alla letteratura e all’arte, che partecipano attivamente, ideologicamente schierati, alla discussione dei problemi sociali e politici (Treccani)».
|| la Malinowski di Tumblr ||
Durante il proseguire di questa vita, mi capita di incappare in bizzarre contraddizioni borghesi, di ritrovarmi a decriptare movenze e modi di fare. Se però mi fermo un attimo a pensare lucidamente e razionalmente, epurando da qualsiasi forma di emotività: la realtà è abbastanza ovvia. Non c'è bisogno di ragionamenti e di massime confuciane...
Lo so che mi insegnano che c'è sempre una motivazione o una ragione che spinge all'azione, ma io mi rifiuto. Non posso essere un'antropologa h 24.
Guarderai il festival di Sanremo quest'anno?
Ciao Anonimo, no.
(secondo te ne vale la pena?)
Piero: Buonasera.
Vittoria: Sera.
Piero: Cosa stavi scrivendo?
Vittoria: Traduco un po' di roba dallo spagnolo.
Piero: Ah! E come si dice in spagnolo che vorrei salire da te?
Vittoria: Si dice che non puoi. Brutta lingua lo spagnolo, eh.
Piero: Io non capisco perché dobbiamo perdere il tempo così.
Vittoria: Neanch'io.
L'Eclisse, 1962, Michelangelo Antonioni
perché nonostante l'avanzata dei tempi, della tecnologia, delle idee: pensiamo ancora il mondo per stigmatizzazioni?