| Memorie Dal Campo(santo) |

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Da quando nonno è andato via frequento più spesso il cimitero. Prima ero solita andarci solo per la ricorrenza istituzionale, nei primi di novembre.

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A ventiquattro anni, mi approccio a questo luogo con una mentalità diversa. Da una parte qui riposano i miei antenati, gli amici di famiglia e le persone che non ho conosciuto, dall'altra sono occasioni per riflettere su tematiche di ordine antropologico e sociale.

La morte e il dolore sono due concetti centrali nello studio dell’uomo. Ad esempio, Michelangelo Giampaoli nel saggio Paris. Una capitale alle porte della città dei morti studia il Pèere-Lachaise di Parigi. Si tratta del cimitero più conosciuto e visitato al mondo, dove «quotidianamente entrano ed escono differenti flussi di persone, soprattutto turisti data la presenza di monumenti in onore di persone famose (2011)», per citare qualche nome Oscar Wilde, Édith Piaf, Jim Morrison. Nel cimitero sono presenti pratiche a scopo commemorativo che economico: «all’interno del Pére-Lachaise domina un sistema di economia informale che ruota attorno» a bar, ristoranti o a coloro che si propongono di fare da «guida» turistica per addentrarsi nelle vie del cimitero.

Giugendo a me. Nel piccolo cimitero di paese che frequento sicuramente non possono verificarsi queste condizioni, dato lo scarso numero di fequentatori. Ciò che invece rintraccio è il particolare legame che si instaura tra chi resta e chi se ne va. È un legame che nasce dalla frequentazione e dal sentimento empatico verso le sofferenze altrui. I vivi alimentano l’esistenza di una persona, seppur non sia più presente a livello fisico. Ho sperimentato anch'io questa condizione.

Nel corridoio che porta alla tomba dei miei nonni paterni, si trova una ragazza a cui mia madre faceva il doposcuola. Ho iniziato ad affezionarmi a lei e alla sua storia senza averla mai conosciuta, "instaurando" un ricordo-immagine di lei. Comprendo solo adesso quanto questo luogo sia sottovalutato...

«L’evento-morte, la presenza del cadavere non è soltanto distruzione e crisi del senso ma, per certi versi, è all’origine della costruzione del significato dell’esistenza (Favole, Lingi 2004)».

In questi luoghi i vivi danno continuità alle esistenze interrotte. I frequentatori puliscono, ordinano e impreziosiscono le lapidi, gli altari e nel frattempo parlano e intavolano discorsi tra di loro che tra chi “sta lì”, riattualizzando così le persone e le loro storie:

«Se da un lato il morire è un processo disgregativo ed entropico, che introduce caos e disordine […] dall'altro – mediante i significati simbolici che riceve secondo modalità transculturalmente specifiche – esso genera forme sofisticate di organizzazione, ordina luoghi, connota spazi, costruisce cosmologie, orienta comportamenti: riannoda fili di senso sulla natura stessa della vita (2004)».

Bibliografia

Favole A., Ligi G., 2004, L'antropologia e lo studio della morte: credenze, riti, luoghi, corpi, politiche.

Giampaoli M., 2011, Paris. Una capitale alle porte della città dei morti, in Antropologi in città (a cura di Stefano Allovio).

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3 years ago

Nessuno:

Proprio nessuno:

Perennemente io:

"Un antropologo può realmente creare una situazione controllata in cui provocare la sua «natura», cioè la gente che studia, per analizzare le risposte? (Piasere, L'etnografo imperfetto. Esperienza e cognizione in antropologia)".

2 years ago

]~[

La costituzione dell'intero avviene, inevitabil-mente, dalla ri-costituzione del complesso emotivo.

[○]

]~[

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2 years ago

|| Ricorda che la dominazione/estraniazione dall'evento risiede nella sua ripetizione simbolica.


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3 years ago

[◇] L' essere umano può amare se stesso senza condizionamenti? O sarà destinato a farlo attraverso le immagini degli ideali e delle rappresentazioni con i quali viene plasmato?

4 years ago

18.05.2021

Tieni a mente: nei rapporti umani non creare collega-menti di circostanza.


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2 years ago

Non lasciare.

Non racchiudere.

Non permettere

a ciò che le circostanze ti mostrarono essere la porcellanza bavosa e meschina di rivelarti il presente e il futuro.


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3 years ago

| (Mal)funziona-menti |

Scrivo questo post per prendermi del tempo, perché ho necessità di ordinare il complesso emotivo nato in seguito al maltempo che sta distruggendo la città in cui sono nata e cresciuta.

È dal 25 ottobre che Catania e i territori limitrofi sono investiti da ciò che i mezzi di comunicazione di massa hanno chiamato “stato di calamità”, “ci aspettano altre ore complicate”, “nubifragio” o “disastro maltempo”. Parole ed espressioni che cercano di riassumere il profondo disagio che sta vivendo il territorio.

Penso a quanto sia automatico trovare qualcuno a cui addossare la colpa per quello che sta accadendo. Si potrebbe incolpare X, perché non ha prestato attenzione alle previsioni del meteo; si potrebbe accusare Y, perché costruisce abusivamente; o forse Z che non si è occupato a sufficienza della manutenzione fognaria del comune. Mi chiedo che senso ha costruire una narrazione che insista sulle cause anziché sugli sviluppi, primeggiando il processo da fare per le insufficienze e per i disservizi?

Lo so che la mia realtà è caratterizzata da “problemi strutturali" e “carenze”. Ne ho preso coscienza quando, nel lontano 2018, ho visto la neve per la prima volta a Bologna. La neve aveva invaso i portici e il parco vicino casa, e sinceramente avevo pensato al peggio. Nel giro di una manciata di minuti però si era presentato un camion spazzaneve e tutto era ritornato alla normalità.

Non voglio modulare i miei pensieri attraverso il divario nord-sud, infatti questa situazione che sto vivendo non ha solo (ri)-portato a galla i limiti e le ristrettezze di contesto, ma anche tutto il sudiciume nato dalla noncuranza degli attori sociali. E tutto questo mi spinge a ragionare su quanto sia difficile ‘far funzionare le cose’. Come si può pensare di ‘far funzionare le cose’ se si vive in un regime del rimandare o della presa di coscienza posticipata?

Curare una città non dovrebbe essere una competenza che rientra nelle skills degli ingegneri o dei tecnici, bensì dovrebbe essere un ambito co-curato, insieme alla partecipazione degli umanisti e degli attori sociali. Per ‘curare la città’ ci dovrebbero essere delle iniziative dal basso, pensate per normalizzare la cura degli ambienti collettivi, come se fossero degli spazi domestici.

Mi spiego meglio.

Noto che c’è una ‘contraddizione’ tra i miei concittadini, in quanto da una lato sacralizzano gli spazi di casa, che vengono organizzati in piccole bomboniere; dall’altro però agli spazi pubblici non vengono rivolte le stesse attenzioni.

Le persone non si dovrebbero educare a campagne promozionali, perché la gente che viene intercettata è sempre poca o non partecipa perché nutre indifferenza verso quelle attività. Per educare alla cura, si dovrebbero conoscere e osservare le abitudini degli attori sociali, per elaborare ‘risposte di contesto’ che si avvicinano alle pratiche quotidiane. Infatti, la letteratura scientifica mostra che nessuno cambiamento è effettivo se ci sono imposizioni. Per cui, la normalizzazione della cura degli ambienti condivisi sarà, forse, attuabile se si originano risposte che partano dall’inclusione e dal coinvolgimento degli attori sociali…

Riconosco che le mie parole e i miei pensieri sono superflui, perché penso alle vite distrutte o ai “sacrifici di una vita” che si sono azzerati, e dunque dovrei semplicemente ascoltare e interrompere questa farneticazione idealista. Ma in cuor mio so che queste non sono “farneticazioni”, ma il prodotto della mia formazione universitaria, che mi ha insegnato a capire che contributo posso dare alla realtà a cui appartengo.


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3 years ago

Cosa accadrebbe, se un nuovo resoconto agitasse le conclusioni desunte?

3 years ago

💖Se nel 1988 Almodovar intitolava un suo film "Donne sull'orlo di una crisi di nervi", oggi sarebbe "Studentessa di antropologia sull'orlo di una crisi di nervi".💖

Come si può riuscire a frequentare questa realtà culturale senza che venga minato l'equilibrio psico-fisico?

Più osservo la realtà attraverso i filtri dell'antropologia, più noto forme di disagio nell'organizzazione della vita che si sviluppa intorno a me. I ritmi di vita sono fin troppo frenetici e veloci. Se non esiste più il cottimo o la catena di montaggio di Henry Ford, oggi proliferano i seguenti mindset: “Non c’è mai tempo”. Ma se il concetto di tempo è, essenzialmente, un prodotto disciplinato dai vari contesti culturali: perché l’uomo decide di rappresentare gli spazi temporali come limitati? Il futuro è come se fosse qualcosa che non esistesse, ma che tutto debba essere consumato nell’eterno presente. Di conseguenza, questa concezione consumistica del tempo entra in tilt quando si realizza che al mondo non si è solo mente o idee, ma anche corpo dove le controindicazioni di questa impostazione non tardano a presentarsi…


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3 years ago

| 10 a.m

Affiora nelle menti e negli adesso.

Ricorda per cosa lo stai facendo. Per alimentare un sistema socio-economico capitalista che inocula ideologie di progresso, benessere e riuscita sociale. Cresci con l'idea della tua ascesa sociale e personale. Realizzi adesso che stai vivendo solo uno dei tanti modi possibili per fabbricare e disciplinare la tua identità. Per cui sei il nulla. nulla. nulla.

Mi chiedo ora: cosa succederebbe se tu provassi a distaccarti, per una volta, dalla tua persona? Continueresti ancora a pensarla così?

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