Quando non si è soddisfatti di sé stessi ci si fa psicologi; quando non si è soddisfatti della propria società ci si fa sociologi; quando non si è soddisfatti di sé stessi e della propria società, ci si fa antropologi
Margaret Mead
17:10 || continua il refresh
Nei primi tempi a Bologna, in università soprattutto, ho incontrato persone nordiche (*) che sostenevano: “Ma voi non parlate, urlate”, riferendosi al fatto che i siciliani hanno un tono di voce abbastanza alto. Al ché da buona patriota ho prontamente rigettato quelle tesi, riconducendole a quell’insieme di stereotipi che danno ai nordici (e anche a quelli del sud) per rendere pensabili le rispettive categorie d’appartenenza.
Circa una decina di minuti fa sento dei ragazzi in strada, qui in Sicilia, che comunicano tra loro quasi gridando. Penserete che: “In fondo lo stereotipo tanto stereotipo non è”, no? Eh no, perché anche se sono sicula non sono riuscita a capire se stavano dialogando o litigando. Resterò col dilemma in eterno...
(*) inteso come gente del nord.
In Università ti hanno insegnato solo a confrontarti con dati qualitativi..."i DATi qUanTitAvI snaturano. RestItUiScOnO una FinTa OggETtIVItà""
Sapevo però che sarebbe arrivato questo momento, meglio conosciuto come *l'antropologa si converte al lato """oscuro"""*
... e ti saresti incuriosita nel cercare:
Inizi a creare tabelle, grafici, traducendo gli """esseri umani"""' in dati numerici. Tu due minuti dopo:
QUESTA DEFORMAZIONE PROFESSIONALE, sempre in mezzo ai piedi.
Laura: Più un ragazzo mi piace più mi spaventa.
Jérôme: Vuoi dire che hai paura di non resistergli?
Laura: No. Io. No. È più complicato di così. Un ragazzo non mi piace tanto perché é bello. Se un ragazzo è gentile vado a spasso con lui per esempio se mi annoio. Se mi annoio chiunque mi sta vicino ho l’impressione di amarlo. Quel che mi secca é che sempre prima o poi lui si dà importanza dice in giro: “È innamorata di me”. Si mette a fare il pascià. Allora è finita.
Le genou de Claire (1970) Éric Rohmer
oltre|passa-menti ~ \/ ~ che sia chi sei tu
«Il mondo non è un'unica fratellanza sentimentale in cui, sotto la superficie, in realtà siamo tutti uguali. Gli individui hanno prospettive diverse, formate da interessi, storie, esperienze particolari. Se questo è vero degli individui, sarebbe strano se qualcosa del genere non valesse anche per le nazioni».
Ian Buruma
| GG/MM/AA |
chissà mai che in futuro non si riescano a decodificare immediatamente anche i nostri pensieri?
|| Sarà forse un mio limite
ma difficilmente entrerò in sintonia con i sostenitori dell’ideologia decostruzionista disfunzionale. Mi riferisco a coloro che mirano ad instaurare un regime equo che passa attraverso la demolizione coatta di tutto ciò che non rientra nelle loro concezioni di giusto.
Non capisco perché non si predilige, invece, una scomposizione delle presunte negatività per approfondire e conoscere come vengono vissute da chi le sperimenta nella pratica.
Ancor prima di iniziare l’operazione di demolizione, perché l’analisi non parte da ciò che sta a cuore della gente, da "cosa c’è in ballo?" parafrasando Arthur Kleinman? Invece nell’instaurazione del regime equo tutto scade nel moralismo più tossico, dove gli altri per star bene devono essenzialmente insistere a rigettare e vivere ciò che questi decostruzionisti disfunzionali propinano…
"Diari'' di campo
Margaret Mead, Sto proprio bene e resisto al clima con lodevole coraggio.
Alfred Métraux, Scrivo queste righe sdraiato nel mio sacco e illuminato da una stenta candela
Claude Lévi-Strauss, Mi sembrò che i problemi che mi tormentavano potessero fornire materia per un lavoro teatrale.
Paul Rabinow, Il mondo era diviso in due: quelli che avevano fatto ricerca sul campo e quelli che non favevano fatta
Non lo so, stasera mi sento abbastanza polemica. Al contempo sto cercando di “accendere” l’antropologa che c’è in me, per addolcire la riflessione con cui sto per stendervi.
Di cosa parliamo questa sera? Di sentimenti amorosi (ahi, come sono banale). Che cosa vi aspettate da una tipa cresciuta con la Disney? xoxo.
Procedo.
Mi sto chiedendo, da circa un’ora, perché nel nostro contesto culturale si cresce con l’idea che dobbiamo sperimentare e nutrire sentimenti d’amore tra noi umani? Più specificatamente, come mai si rintraccia l’esigenza di disciplinare le emozioni che scaturiscono dall’incontro con l’altro, per poi costruirci su qualcosa? Nello specifico:
incontro una persona a me sconosciuta;
per una serie di circostanze cattura la mia attenzione;
la frequento;
se le sue esigenze e i suoi bisogni sono in sintonia = siamo due rette perpendicolari e ci intersechiamo in un solo punto;
se, invece, le istanze sono diverse = siamo due rette parallele, cioè tali da non intersecarci in alcun punto.
Bene, abbozzato questo ragionamento in maniera così brutale che manco uno scienziato sociale positivista, continuo la mia analisi. Questo è quello che ci offre la nostra società: legami tra umani e tra sconosciuti che se si ritrovano copulano, se invece, non sono corrisposti soffrono e si martoriano manco fossero un martire cristiano del I secolo dopo Cristo.
Come mai, nella nostra società, esiste questo “ciclo”? Nel senso perché ci crescono con l’idea di amarci o di star male?
Per comprendere queste questioni, ritengo che sia importante adottare un approccio antropologico per far emergere ciò che molto spesso viene occultato quando si parla di amore.
Ci spingono a credere che l’amore sia qualcosa di spontaneo, ma c’è sempre un processo silenzioso di apprendimento culturale. Ad ogni livello e settore veniamo educati sin dalla nascita. Infatti, se qualcuno non si prendesse cura di noi, moriremo. Non credo che un bambino riuscirebbe a sostentarsi da solo. Di conseguenza l’amore, e tutto ciò che vi orbita intorno, esiste perché c’è un discorso culturale. È stato “qualcuno” che ci ha insegnato a vederlo in una determinata maniera, a essere colpiti da un’estetica; a vederla seguendo “gli opposti si attraggono”; a se “avete passioni in comune è prolifico”. Abbracciamo prospettive e assumiamo atteggiamenti senza saperlo. La cultura, il contesto familiare, le esperienze pregresse in coppia formano l’identità degli amanti.
Io vedo poco spazio nel quale possiamo muoverci liberamente. Gli ideali e l’ambiente ci plasmano. Forse una speranza e una prospettiva di studio diversa la riserbo a quelli incontri che si consumano a occhi chiusi dato che l’occhio scruta indaga registra interpreta... lascerei il resto ai sensi restanti. Chissà cosa succederebbe se ci innamorassimo ad occhi chiusi? Coglieremo forse finalmente l’essenza?
Questo quadro teorico finora proposto è incompleto, perché dovrei supportarlo da un’indagine qualitativa. Dovrei intervistare personalmente chi sperimenta queste dinamiche, per arricchire e sostenere i punti trattati…
Comunque, più studio antropologia e più sclero. Ah, e sto arrivando ad una considerazione: l’unica cosa spontanea del mio contesto culturale è la continua e onnipresente disciplinazione del reale.