| Da una questione di in(sensibilità) datata 31 dicembre |
Tutto è iniziato da una mia seccatura.
Mi trovo nella piazza centrale di una cittadina siciliana, visto che è stato organizzato il mercato locale. È un campo che ben si presta alle osservazioni culturali, alla conservazione e alla riproduzione dei rapporti sociali che la pandemia da Covid-19 sta facendo scomparire.
Nello stand dedicato ai prodotti caseari e agli insaccati, stanno venendo soddisfatte le richieste di un anziano signore. Immaginatelo con la sua coppola, con il suo pantalone grigio scuro in flanella, con la sua marcata cadenza dialettale e con il suo modo di parlare “antico”, che durante l’articolazione dei discorsi fa ricorso a proverbi e frasi tratte dalla saggezza popolare. Si trova lì per acquistare generi alimentari che, poi, consumerà in prossimità delle feste. Tra lui e il salumiere si sta instaurando una forma di dialogo confidenziale, che lo spinge a voler conoscere la storia, la provenienza e la ‘corretta’ consumazione del formaggio… forse sarà un antropologo in pensione, dato che la peculiarità del lavoro antropologico consiste nel «tormentare le persone intelligenti con domande stupide (Geertz 1988, 40)». Comunque, il salumiere risponde con professionalità ed empatia. Nel frattempo che si sta consumando lo “scambio” etnografico sul pecorino dei Nebrodi: si sta formando una lunga coda di persone.
Nonostante il forte senso di irritazione, penso alla socialità che si sta manifestando. Questa riesce a prosperare perché mi ritrovo all'interno di un ristretto contesto di provincia, con un rimo di vita meno frenetico e propizio all'incontro del prossimo. Le "minuziose" questioni che pone l'anziano sono il frutto di una consuetudine sociale, dato che:
«la condizione umana non è pensabile se non in termini di organizzazione sociale. L’apprendimento di routine, l’acquisizione di abitudini che s’incarnano nello spirito e nel corpo, dispensano gli uomini dalla necessità di riflettere prendere decisioni in ogni momento. Gran parte dei nostri comportamenti sfuggono alla rappresentazione cosciente, pur obbedendo comunque a regole, pur seguendo un modo adeguato di comportarsi in società. Il senso è incorporato e non rappresentato (Augé, Colleyn 2004, 15, 16)».
Di conseguenza, in questa epoca si delineano nuove pratiche che portano a ripensare il rapporto tra commerciante e cliente, il quale é vissuto maggiormente a livello individuale, come avviene nei market online e “anonimi”. Durante l’acquisto degli articoli, difficilmente, si manifestano le condizioni per acquisire conoscenze fornite dai produttori. Il punto, adesso, non è la svalutazione e il boicottaggio di queste iniziative, ma è necessario ripensarle in chiave critico-sociale:
«Non credo che il comfort vada demonizzato: è stato desiderato e inseguito dall’umanità perché genera innegabili piacevolezze. Interrogare la comodità ha senso perché il processo che l’ha generata è stato sottratto a un esame approfondito sulle conseguenze sensoriali della diffusione degli attuali regimi di consumo. L’umanità contemporanea è stata abituata a non avere dubbi sul fatto che la storia tecnica sia stata un’evoluzione positiva: il passato rappresenta ciò che è arretrato, primitivo, fondato sull’ignoranza; il presente adopera le conoscenze accumulate per migliorare la vita e risolvere innumerevoli disagi; il futuro è teso verso un ulteriore perfezionamento scientifico e tecnologico che spazzerà via, definitivamente le rimanenti limitazioni al benessere umano. Con ossessionante monotonia, e in maniera più o meno subdola, implicita, acritica, mistificata, i promotori dell’ipertecnologia ci inducono a credere che il tragitto esistenziale umano, nel corso della storia, e in particolare nella sua fase moderna e contemporanea, sia da apprezzare come benefico, giusto, vantaggioso, morale, utile (Boni 2014)».
Dunque, queste pratiche che circolano nella nostra esistenza: che ripercussioni hanno con il passare del tempo, in particolare sulla relazione umana? Come mai ci stanno spingendo ad una sua disassuefazione?
Bibliografia
Augé M., Colleyn J.P., 2004, L’antropologia del mondo contemporaneo.
Boni S., 2014, Homo comfort. Il superamento tecnologico della fatica e le sue conseguenze.
Geertz C., 1988, Interpretazione di culture.
| Le strade catanesi |
Sono ferma ad osservare, con anomalo interesse, “la crepa”(scusate, ma il mio vocabolario è sprovvisto di certi tecnicismi) nella strada, conosciuta dai miei concittadini come l’opera di “cattiva amministrazione”... sono in Sicilia, nel regno dell’immobilitismo, ma vi risparmio la filippica, vetusta quanto il complesso Stonehengiano…
Questa "crepa" mi permette di collegarmi al contenuto di una lezione di Geografia in Università, sul ruolo dell’essere umano nel modificare il paesaggio... realizzando che anche la natura procede in questa direzione, intervenendo nella trasformazione degli spazi. Anche se aldilà della bellezza visiva: mi chiedo cosa vuole comunicare questa ri-appropriazione?
| Le falle del sistema |
Giorni fa l'algoritmo di Youtube, che sa della mia profonda ammiraossessione per Umberto Galimberti, mi ha proposto una sua conferenza sull’identità. Galimberti ha indicato che l’identità è un dono sociale e l'individuo viene riconosciuto socialmente. Porta l’esempio della maestra che reputa un bambino intelligente e studioso, lo incoraggia nello sviluppo di un'identità positiva.
Ho avuto modo di approfondire questa tematica ne L’epoca delle passioni tristi. Gli autori, Benasayag e Schmit, parlano a riguardo dell’utilitarismo scolastico:
«tale ideologia pretende di costituire un mondo trasparente, in cui possiamo sempre giudicare ciascun essere umano in funzione di criteri chiari, precisi e univoci: i criteri quantitativi […] Nel gioco dell’utilitarismo scolastico, significa molto di più: viene considerato una specie di biglietto d’ingresso nel mondo degli adulti, perché si pensa che chi non studia sarà disoccupato, avrà una vita mediocre eccetera».
Ripenso al mio percorso scolastico, dove i miei/mie compagni/e venivano etichettat*, classificat* e, per certi versi, schedat* in base a quanto e a come rendevano. Le loro esistenze venivano cristalizzate e uniformate.
Queste considerazioni penso che possano essere applicate anche a quei casi in cui una bambina o un bambino viene ritenut* dall’insegnante taciturn*, silenzios* e spingono il soggetto a pensarsi in un modo anziché in un altro, le influenze dell'insegnante modellano la sua identità in base a quel tratto esteriore che gli è stato “donato”.
È evidente che si tratta di un sistema e di un modo di organizzare la vita scolastica degli alunni e delle alunne del mio contesto culturale, ma come si potrebbe rimettere al centro il soggetto?
Bibliografia
Bonetti R., 2014, La trappola della normalità.
Galimberti U., 2021, Trovare la propria vera identità.
Schmit G., Benasayag M., 2003, L’epoca delle passioni tristi.
14/07/21 20:05
Buonasera appuntidicampo! Qui il tuo lettore anonimo SB.
Mi sono preso un po' di tempo per leggere la tua risposta con calma per poterti rispondere con attenzione in modo da potermi esporre al meglio la mia idea.
La tua tesi di laurea triennale mi sembra molto interessante e dall'esempio che hai apportato devo dire che non sono rimasto particolarmente meravigliato dal fatto che da parte di alcuni esponenti religiosi cristiani, pur di arrivare all'indottrinamento religioso, abbiano addottato dei mezzi così futili come delle immagini, d'altronde è risaputo che ci sono stati metodi molto più brutali e violenti pur di arrivare allo scopo, ma questo penso sia un altro discorso di cui potremmo parlarne per giorni. Volevo però sapere di più a riguardo all'esempio che mi hai citato. Come hanno accolto inizialmente gli indigeni le informazioni che gli venivano passate? Hanno accolto di loro spontanea volontà la fede Cristiana?
Il mio punto di vista comunque sul rapporto tra occidentali e il resto del globo rimane quello che ti ho citato nel "ask" precedente, che rimane comunque abbastanza concorde con il tuo. Gli occidentali hanno avuto in passato la tendenza di prevalere e schiacciare le altre culture e temo che sia tutt'ora così, anche se probabilmente il tutto viene camuffato un pochino di più. La cosa mi fa pensare a un'altra caratteristica dell'essere umano. Essere più sviluppati a livello tecnologico lo fa sentire superiore agli altri, anche se, a mio umilissimo parere da persona totalmente ignorante in materia, ho l'impressione che ci renda meno autosufficienti... Eccolo un altro argomento che mi piacerebbe approfondire e sapere cosa ne pensi tu e cosa dicono i tuoi studi sull'antropologia: spesso osservo la mia sorellina, ci passiamo 13anni, attualmente ora lei ne ha 10. Ho l'impressione che la tecnologia le stia offuscando parecchio la mente sulla percezione della realtà, ma ho notato osservando gli altri bambini suoi coetanei che purtroppo è un problema molto frequente. Mi chiedevo, quali saranno i disagi culturali e sociali degli adulti di domani? In antropologia sono stati fatti degli studi in merito, delle previsioni? Spero sia chiara la domanda e di aver sollevato un quesito che sia inerente alla tua materia di studi.
In conclusione, volevo chiederti se ti trovi bene a scambiarci opinioni tramite degli ask anonimi. Se preferisci ti posso contattare in privato e continuiamo i nostri confronti lì. Per favore però non dirmi "vedi te per me è uguale" e lasciare a me la scelta, il blog è il tuo ed ho il timore che i miei ask possano contaminare secondo la tua percezione lo stile del tuo blog.. grazie per la tua attenzione e buona serata!
Lettore anonimo SB
Ciao Lettore anonimo SB,
E' sempre un piacere leggerti e che trovi tempo per articolare al meglio i tuoi pensieri. Tranquillo, non contamini, i tuoi contributi "abbeliscono" e arricchiscono il mio blog, stimolando alla riflessione.
Con la tua risposta, sollevi molteplici questioni che richiedono tempo e studi, adesso non ho risposte. Spero che comprenderai: ti aggiornerò nei giorni successivi o sennò sentiti libero di contattarmi in privato, per una risposta più immediata e fluida. Anche se, ritengo che sia produttivo e interessante creare dibattiti pubblici, per coinvolgere un bacino più ampio di gente, come è stato nel post sulla vittoria italiana del campionato europeo.
Ag aggiornar(c)i.
Nessuna “cosa” è data per natura. Questa si presenta “così” poiché tutta la realtà che la circonda è artificio e intenzione. Tutto, infatti, è soggetto a un’operazione di disciplinamento e forgiamento. Assodato questo, esplora quella cosa concentradoti non sul “perché è data”, ma “come è data”.
| Memorie dal campo(santo) |
Da quando nonno è andato via frequento più spesso il cimitero. Prima ero solita andarci solo per la ricorrenza istituzionale, nei primi di novembre.
A ventiquattro anni, mi approccio a questo luogo con una mentalità diversa. Da una parte qui riposano i miei antenati, gli amici di famiglia e le persone che non ho conosciuto, dall'altra sono occasioni per riflettere su tematiche di ordine antropologico e sociale.
La morte e il dolore sono due concetti centrali nello studio dell’uomo. Ad esempio, Michelangelo Giampaoli nel saggio Paris. Una capitale alle porte della città dei morti studia il Pèere-Lachaise di Parigi. Si tratta del cimitero più conosciuto e visitato al mondo, dove «quotidianamente entrano ed escono differenti flussi di persone, soprattutto turisti data la presenza di monumenti in onore di persone famose (2011)», per citare qualche nome Oscar Wilde, Édith Piaf, Jim Morrison. Nel cimitero sono presenti pratiche a scopo commemorativo che economico: «all’interno del Pére-Lachaise domina un sistema di economia informale che ruota attorno» a bar, ristoranti o a coloro che si propongono di fare da «guida» turistica per addentrarsi nelle vie del cimitero.
Giugendo a me. Nel piccolo cimitero di paese che frequento sicuramente non possono verificarsi queste condizioni, dato lo scarso numero di fequentatori. Ciò che invece rintraccio è il particolare legame che si instaura tra chi resta e chi se ne va. È un legame che nasce dalla frequentazione e dal sentimento empatico verso le sofferenze altrui. I vivi alimentano l’esistenza di una persona, seppur non sia più presente a livello fisico. Ho sperimentato anch'io questa condizione.
Nel corridoio che porta alla tomba dei miei nonni paterni, si trova una ragazza a cui mia madre faceva il doposcuola. Ho iniziato ad affezionarmi a lei e alla sua storia senza averla mai conosciuta, "instaurando" un ricordo-immagine di lei. Comprendo solo adesso quanto questo luogo sia sottovalutato...
«L’evento-morte, la presenza del cadavere non è soltanto distruzione e crisi del senso ma, per certi versi, è all’origine della costruzione del significato dell’esistenza (Favole, Lingi 2004)».
In questi luoghi i vivi danno continuità alle esistenze interrotte. I frequentatori puliscono, ordinano e impreziosiscono le lapidi, gli altari e nel frattempo parlano e intavolano discorsi tra di loro che tra chi “sta lì”, riattualizzando così le persone e le loro storie:
«Se da un lato il morire è un processo disgregativo ed entropico, che introduce caos e disordine […] dall'altro – mediante i significati simbolici che riceve secondo modalità transculturalmente specifiche – esso genera forme sofisticate di organizzazione, ordina luoghi, connota spazi, costruisce cosmologie, orienta comportamenti: riannoda fili di senso sulla natura stessa della vita (2004)».
Bibliografia
Favole A., Ligi G., 2004, L'antropologia e lo studio della morte: credenze, riti, luoghi, corpi, politiche.
Giampaoli M., 2011, Paris. Una capitale alle porte della città dei morti, in Antropologi in città (a cura di Stefano Allovio).
| Disordine funzionale |
In preda ad un attacco di nostalgia riprendo in mano un vecchio manuale di Antropologia culturale, nel quale Ugo Fabietti scrive:
« [l’antropologia] studia [..] le idee e i comportamenti che sono caratteristici degli esseri umani che vivono in società fra loro lontane nello spazio e diverse per tradizioni, costumi e stili di vita»
Da qui hanno origine i miei svalvo(la-menti).
Dal punto di vista teorico, l’antropologia considera gli atti umani come un’espressione culturale. Lo scambio mondo-soggetto è disciplinato a livello locale: l’essere umano è un artificio culturale. Questa interpretazione è peró incompleta perché non si riconosce al singolo soggetto un’agentività, dato che è essenzialmente in balia del proprio contesto culturale. Alcuni antropologi contemporanei (es. Thomas J. Csordas), danno all'essere umano un ruolo attivo. Lo scambio mondo-soggetto non è vissuto passivamente, in quanto le singole esistenze vivono il mondo attraverso il loro corpo.
Allo stato attuale delle cose, però, rimane ancora da riflettere significativamente sui concetti di “autenticità” e “spontaneità” che caratterizzano la realtà quotidiana. Se ogni cosa esistente è una rielaborazione intenzionale: che cosa sta alla base del concetto di naturalezza? O invece si dovrebbero ri-pensare radicalmente questi concetti?
Da studiosa di antropologia e da essere umano non posso che vivere un profondo senso di disagio esistenziale, ma d'altronde - da bimba di 🧡Geertz 🧡- penso alla mission dell’antropologo:
«Con non poco successo abbiamo cercato di scuotere il mondo, tirando da sotto i piedi i tappeti, rovesciando tavolini da té, facendo esplodere petardi. Compito di altri è stato di rassicurare, il nostro quello di destabilizzare. Fra australopitechi, bricconi, consonanti avulsive, megaliti noi siamo insomma venditori ambulanti di anomalie, spacciatori di stranezze, mercanti di stupore».
Bibliografia
Csordas T. J. C., 2003, Incorporazione e fenomenologia. culturale
Fabietti U., Antropologia.
Come mai si rintracciano poche cantautrici italiane?
Il mondo dei sentimenti e delle emozioni è raccontato in maniera frequente dagli uomini, penso a De Andé, Guccini, Battiato, etc. La mia domanda non è mossa da rivendicazioni femministe - per amor del cielo - la sfera affettiva è una questione esistenziale e universale. Nell’ascolto dei brani scritti da questi, rintraccio che:
1) riescono a cogliere ed intepretare, magistralmente, la condizione umana;
2) ma la narrazione si snoda secondo una prospettiva maschile.
Ascoltare De André che parla di amore è un’esperienza che non pensavo potesse essere, emotivamente, destabilizzante. Il modo in cui ha impostato la melodia, fa sì che ci sia immedesimazione tra testo e suono. C’è, però, qualcosa che manca e che non mi permette di empatizzare a pieno... e che si riconduce alla domanda di apertura...
Non cerco, ovviamente, l’emotività femminile nei brani di De Andrè. Ascoltarlo mi ha fatto realizzare che, a livello generale, mancano donne cantaurici così d’impatto..........
O forse: sono io che sono stata “inculcata” a considerare soltanto questi come interpreti anziché volgere lo sguardo altrove?