||  Keep It In Case Of An Emergency ||

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3 years ago

| Disordine funzionale |

In preda ad un attacco di nostalgia riprendo in mano un vecchio manuale di Antropologia culturale, nel quale Ugo Fabietti scrive:

« [l’antropologia] studia [..] le idee e i comportamenti che sono caratteristici degli esseri umani che vivono in società fra loro lontane nello spazio e diverse per tradizioni, costumi e stili di vita»

Da qui hanno origine i miei svalvo(la-menti).

Dal punto di vista teorico, l’antropologia considera gli atti umani come un’espressione culturale. Lo scambio mondo-soggetto è disciplinato a livello locale: l’essere umano è un artificio culturale. Questa interpretazione è peró incompleta perché non si riconosce al singolo soggetto un’agentività, dato che è essenzialmente in balia del proprio contesto culturale. Alcuni antropologi contemporanei (es. Thomas J. Csordas), danno all'essere umano un ruolo attivo. Lo scambio mondo-soggetto non è vissuto passivamente, in quanto le singole esistenze vivono il mondo attraverso il loro corpo.

Allo stato attuale delle cose, però, rimane ancora da riflettere significativamente sui concetti di “autenticità” e “spontaneità” che caratterizzano la realtà quotidiana. Se ogni cosa esistente è una rielaborazione intenzionale: che cosa sta alla base del concetto di naturalezza? O invece si dovrebbero ri-pensare radicalmente questi concetti?

Da studiosa di antropologia e da essere umano non posso che vivere un profondo senso di disagio esistenziale, ma d'altronde - da bimba di 🧡Geertz 🧡- penso alla mission dell’antropologo:

«Con non poco successo abbiamo cercato di scuotere il mondo, tirando da sotto i piedi i tappeti, rovesciando tavolini da té, facendo esplodere petardi. Compito di altri è stato di rassicurare, il nostro quello di destabilizzare. Fra australopitechi, bricconi, consonanti avulsive, megaliti noi siamo insomma venditori ambulanti di anomalie, spacciatori di stranezze, mercanti di stupore».

Bibliografia

Csordas T. J. C., 2003, Incorporazione e fenomenologia. culturale

Fabietti U., Antropologia.


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3 years ago

12:46 || meglio forze sinistre che serendipità (pliz)

Al liceo avevo affinità con filosofia, ma proseguii i miei studi con antropologia perché ritenevo che mi desse una preparazione di tipo pratico e meno astratto. Ero arrivata a questa considerazione dopo che mi ero documentata (shame on me! Vabbè ero una bimbaminkia e non si era ancora compiuta “l’ascesi”) su Yahoo answer. Rimasi affascinata dal modo in cui l’utente spiegava gli elementi costitutivi dell’antropologia. E così a diciannove anni scelsi quell’ambito di studio, ignara del potenziale di quella scelta.

Guardando ad oggi, sto leggendo un’intervista, sulle traiettorie dell’antropologia culturale in Italia. L’intervistato, noto antropologo italiano, racconta che si è laureato in filosofia… dato che negli anni ‘50 del ‘900 in Italia non era ancora presente una facoltà di antropologia.

Il passo mi ha lasciata piacevolmente scossa, perché ripenso alle me diciannove che guardava all’antropologia come un puzzle. Avete presente quello da 1000 pezzi, dove i tasselli si dispongono alla rinfusa e viene piuttosto complicato assemblarli, ma succede poi qualcosa che li fa unire coerente-mente…

(Boh. Forse gli spiriti e i demoni, quelli delle culture “esotiche” o “extra-occidentali” che cercano di comprendere gli antropologi, iniziano un po’ a condizionare il corso degli eventi della mia esistenza.)


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4 years ago

ripeti con me

Inspira

Qualcosa che non è mai esistito non può farti del male.

Espira

Qualcosa che non è mai esistito  non può farti del male.

Di nuovo.


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2 years ago

E s p a n s i o n i

]○[

Ciò che dovrebbe vera-mente contare risiede nel rendere abitudine: il vivere e la sperimentazione.


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3 years ago

sbagliando si imparerebbe: così è se vi pare

Continuo a non afferrare come certe forme di umanità, che si dispiegano su questa realtà, si mostrino così poco avezze allo scambio equo di punti di vista e di visioni differenti sulla realtà...................... perché è così deviante accettare e ascoltare forme di pensiero diverso o contrastante?............................................... perché l'emozione dovrà sempre prevalere sulla razionalità?

3 years ago

| Autenticità di contesto |

Ogni tanto mi capita di leggere “doc", "100 % originale" o altri sinonimi che certificano l'unicità di un prodotto o di un tratto culturale, etc,.

(come leggo qui) >>

| Autenticità Di Contesto |
| Autenticità Di Contesto |

La mia reazione è all’incirca questa:

| Autenticità Di Contesto |
| Autenticità Di Contesto |

Da sempre l’uomo ha vissuto in un contesto in cui si è “mischiato” ed ha definito, artificiosa-mente e artificial-mente, ciò che lo contraddistingue. Ad esempio, sul finire del Cinquecento la storiografia occidentale documenta uno dei più celebri incontri culturali, quello tra le Americhe e i conquistadores. Ne Indios, cinesi, falsari: le storie del mondo nel Rinascimento (2016) di Giuseppe Marcocci viene raccontato che durante l’evangelizzazione delle popolazioni indigene messicane, i frati hanno voluto iscrivere la storia messicana nel quadro di una più ampia storia ecclesiastica, provvidenziale e globale dell’umanità, andando a mescolare le diverse tradizioni locali per creare un quadro di autenticità storica. Marcocci evidenzia però che nello scrivere riguardo alle genealogie e storie dei mexica (oggi aztechi): c'è una buona dose di incongruenza metodologica e storica.

Se considerate questo esempio fin troppo âgé ne propongono uno più recente. L’antropologo americano Ralph Linton nelle lezioni di Antropologia culturale (anche il mio prof. lo fece) era solito proporre questo esempio (Aime):

«Il cittadino americano medio si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente. [...]

Andando a fare colazione si ferma a comprare un giornale, pagando con delle monete che sono un’antica invenzione della Lidia. Al ristorante viene a contatto con tutta una nuova serie di elementi presi da altre culture: il suo piatto è fatto di un tipo di terraglia inventato in Cina; il suo coltello è di acciaio, lega fatta per la prima volta nell’India del Sud, la forchetta ha origini medioevali italiane, il cucchiaio è un derivato dell’originale romano. Prende il caffè, pianta abissina, con panna e zucchero. Sia l’idea di allevare mucche che quella di mungerle ha avuto origine nel vicino Oriente, mentre lo zucchero fu estratto in India per la prima volta. Dopo la frutta e il caffè, mangerà le cialde, dolci fatti, secondo una tecnica scandinava, con il frumento, originario dell’Asia minore […]. Quando il nostro amico ha finito di mangiare, si appoggia alla spalliera della sedia e fuma, secondo un’abitudine degli indiani d’America, consumando la pianta addomesticata in Brasile o fumando la pipa, derivata dagli indiani della Virginia, o la sigaretta, derivata dal Messico. Può anche fumare un sigaro, trasmessoci dalle Antille, attraverso la Spagna. Mentre fuma legge le notizie del giorno, stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti, su di un materiale inventato in Cina e secondo un procedimento inventato in Germania. Mentre legge i resoconti dei problemi che si agitano all’estero, se è un buon cittadino conservatore, con un linguaggio indo-europeo, ringrazierà una divinità ebraica di averlo fatto al cento per cento americano».

Dalla mia narrazione sembrerebbe evidente il tipo di scenario che si prospetta per considerare il concetto di “autentico”, cioè ritenendolo un costrutto, inventato dalle culture:

«Spesso siamo convinti che gran parte di ciò che utilizziamo sia il frutto della “nostra” cultura e della “nostra” società e siamo restii ad accettare che invece si tratta del risultato di lunghi e continui scambi (Marco Aime)».

(!) Questa prospettiva non mi soddisfa del tutto, è pur sempre un pensiero evidente a livello teorico, ma difficile da attuare in una realtà caratterizzata dall’esclusività del tratto. Allo stato attuale, é più agevole riuscire a costruire l’unicità, anziché provare a de-costruirla. Parlare di processi di omogeneizzazione culturale o di reciproca influenza, sotto certi punti di vista, è un'eresia. Per cui ancor prima di mostrare una certa irritazione nell'uso del termine "vero" dovrei iniziare a ricostruire quel discorso che si intesse intorno a questo concetto dato che è fortemente vivo nelle pratiche, no?


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3 years ago

| Da una questione di in(sensibilità) datata 31 dicembre |

Tutto è iniziato da una mia seccatura.

Mi trovo nella piazza centrale di una cittadina siciliana, visto che è stato organizzato il mercato locale. È un campo che ben si presta alle osservazioni culturali, alla conservazione e alla riproduzione dei rapporti sociali che la pandemia da Covid-19 sta facendo scomparire.

| Da Una Questione Di In(sensibilità) Datata 31 Dicembre |
| Da Una Questione Di In(sensibilità) Datata 31 Dicembre |
| Da Una Questione Di In(sensibilità) Datata 31 Dicembre |

Nello stand dedicato ai prodotti caseari e agli insaccati, stanno venendo soddisfatte le richieste di un anziano signore. Immaginatelo con la sua coppola, con il suo pantalone grigio scuro in flanella, con la sua marcata cadenza dialettale e con il suo modo di parlare “antico”, che durante l’articolazione dei discorsi fa ricorso a proverbi e frasi tratte dalla saggezza popolare. Si trova lì per acquistare generi alimentari che, poi, consumerà in prossimità delle feste. Tra lui e il salumiere si sta instaurando una forma di dialogo confidenziale, che lo spinge a voler conoscere la storia, la provenienza e la ‘corretta’ consumazione del formaggio… forse sarà un antropologo in pensione, dato che la peculiarità del lavoro antropologico consiste nel «tormentare le persone intelligenti con domande stupide (Geertz 1988, 40)». Comunque, il salumiere risponde con professionalità ed empatia. Nel frattempo che si sta consumando lo “scambio” etnografico sul pecorino dei Nebrodi: si sta formando una lunga coda di persone.

Nonostante il forte senso di irritazione, penso alla socialità che si sta manifestando. Questa riesce a prosperare perché mi ritrovo all'interno di un ristretto contesto di provincia, con un rimo di vita meno frenetico e propizio all'incontro del prossimo. Le "minuziose" questioni che pone l'anziano sono il frutto di una consuetudine sociale, dato che:

«la condizione umana non è pensabile se non in termini di organizzazione sociale. L’apprendimento di routine, l’acquisizione di abitudini che s’incarnano nello spirito e nel corpo, dispensano gli uomini dalla necessità di riflettere prendere decisioni in ogni momento. Gran parte dei nostri comportamenti sfuggono alla rappresentazione cosciente, pur obbedendo comunque a regole, pur seguendo un modo adeguato di comportarsi in società. Il senso è incorporato e non rappresentato (Augé, Colleyn 2004, 15, 16)».

Di conseguenza, in questa epoca si delineano nuove pratiche che portano a ripensare il rapporto tra commerciante e cliente, il quale é vissuto maggiormente a livello individuale, come avviene nei market online e “anonimi”. Durante l’acquisto degli articoli, difficilmente, si manifestano le condizioni per acquisire conoscenze fornite dai produttori. Il punto, adesso, non è la svalutazione e il boicottaggio di queste iniziative, ma è necessario ripensarle in chiave critico-sociale:

«Non credo che il comfort vada demonizzato: è stato desiderato e inseguito dall’umanità perché genera innegabili piacevolezze. Interrogare la comodità ha senso perché il processo che l’ha generata è stato sottratto a un esame approfondito sulle conseguenze sensoriali della diffusione degli attuali regimi di consumo. L’umanità contemporanea è stata abituata a non avere dubbi sul fatto che la storia tecnica sia stata un’evoluzione positiva: il passato rappresenta ciò che è arretrato, primitivo, fondato sull’ignoranza; il presente adopera le conoscenze accumulate per migliorare la vita e risolvere innumerevoli disagi; il futuro è teso verso un ulteriore perfezionamento scientifico e tecnologico che spazzerà via, definitivamente le rimanenti limitazioni al benessere umano. Con ossessionante monotonia, e in maniera più o meno subdola, implicita, acritica, mistificata, i promotori dell’ipertecnologia ci inducono a credere che il tragitto esistenziale umano, nel corso della storia, e in particolare nella sua fase moderna e contemporanea, sia da apprezzare come benefico, giusto, vantaggioso, morale, utile (Boni 2014)».

Dunque, queste pratiche che circolano nella nostra esistenza: che ripercussioni hanno con il passare del tempo, in particolare sulla relazione umana? Come mai ci stanno spingendo ad una sua disassuefazione?

Bibliografia

Augé M., Colleyn J.P., 2004, L’antropologia del mondo contemporaneo.

Boni S., 2014, Homo comfort. Il superamento tecnologico della fatica e le sue conseguenze.

Geertz C., 1988, Interpretazione di culture.


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2 years ago

Vabbè, io ferma a Pasolini, Petri e Volonté

Tempo fa mi chiedevo che senso avesse oggi parlare di "musica di nicchia" vs "musica da massa".

Ero su una piattaforma di streaming di musica, famosissima, logo verde e nero, ogni riferimento è puramente casuale.

... Comunque, becco una playlist che è abbastanza simile al tema di una che avevo precedentemente creato. Ciò che mi incuriosisce è questo potere silenzioso che hanno le piattaforme mediali: il meccanismo della riproduzione/associazione simile. L'identità viene riconosciuta per le presunte affinità e incasellata in una cornice. In questo scenario mi chiedo cosa ne resta dell'unicità dell'individuo!?

Un tempo artisti, intellettuali, storici non si sarebbero battuti per la messa in critica di questo ordine?

La rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza.

P.P.P.

AMEN.


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2 years ago

Lista de-gli apprendi-menti

life disegn

counseling

from score to stories

mito dell'interiorità


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3 years ago

«Il mondo non è un'unica fratellanza sentimentale in cui, sotto la superficie, in realtà siamo tutti uguali. Gli individui hanno prospettive diverse, formate da interessi, storie, esperienze particolari. Se questo è vero degli individui, sarebbe strano se qualcosa del genere non valesse anche per le nazioni».

Ian Buruma


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|lo sguardo di un'aspirante antropologa sul mondo|

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